L'Inno e il Chinato

L'Inno e il Chinato

Succede sovente ad ognuno di noi e soprattutto agli appassionati enologi di fare degli acquisti compulsivi e poi di accantonare le bottiglie e quasi dimenticarle nell’angolo più tenebroso della cantina.
A volte lo si fa volontariamente in attesa di ritagliarsi una mezza giornata libera, per reinventariare le giacenze nel locale, dargli una pulitina e magari una sommaria sistemata. Mentendo a se stessi sapendo che, in realtà, non avverrà mai.
Perché il collezionista medio è pervaso da un disturbo che quasi rasenta la disposofobia. Compra e accantonato, compra, compra, beve e ricompra. Nuovo giro.
Disposofobico, io, non sono. Ma qualche tempo fa acquistai una dozzina di piccole bottiglie astucciate di un grande produttore di Serralunga. CAPPELLANO.
Avevo bevuto svariatissime volte i suoi nebioli (con una b come dicono i langhetti), barbera e i blasonati Barolo.
Ma il Chinato, questa creatura pensata e partorita da un farmacista, non mi aveva mai incuriosito.
Succede poi che, in cantina, nella tua, nella mezza giornata che hai rosicchiato, isolandoti dal lavoro, dalla famiglia e da tutto il mondo, ritrovi la confezione ancora imballata e una esclamazione, così grossa, ti percuote. Sfili una bottiglia, la osservi attonito, incuriosito, quasi nn ricordavi  di averle messe là. Fissi un appuntamento, sarà una lunga meditazione. Tu e lei.
Arriva il momento e con cauti movimenti e con gentil movenze ti approcci a lei. Alla bottiglia, a lui, al Barolo Chinato. Lo versi nel bicchiere, ti accomodi e lo avvicini al naso. Comincia il viaggio. Nuovo, sorprendente. Chiudi gli occhi. La dolcezza, la tenerezza, ti portano su una giostra, in un carosello  variopinto, delicato, innocente come le giostre con i cavallucci che giravano quando eravamo bambini, quella musica dolce fiabesca e poi lo zucchero filato, per completare il quadro, il desiderio di ogni bambino.
Il Barolo Chinato del Dottor Cappellano è un’esplosione di profumi, di morbidezze, di balsamico ed erbe medicinali, quelle che ti accarezzano e ti inebriano quando si varca la soglia di una colma erboristeria, rabarbaro, china e genziana, tabacco e frutta rossa matura.
Un erborinato, un formaggio a pasta dura stagionato, ma anche un pasticcino secco di mandorle,  sarebbero compagni degni. Un amico mi ha detto ultimamente : è così originale ed unico che lo accosterei senza ripensamenti anche alle ostriche crude. Io ci credo.
Un viaggio unico, sensazionale, un vino affascinante che ti accompagna come pochi riescono a fare, un vino che mette tutti d’accordo.
Come l’inno di Mameli per tutti noi italiani.
Non solo Barolo Chinato, ma nel vetro tutta la tradizione che racchiude e rimanda alle radici storiche delle Langhe.
Azienda pluripremiata che ha subìto, nel corso degli anni, delle vere e proprie rivoluzioni, partendo dal Notaio Filippo Cappellano, passando dal figlio Filippo per arrivare all’attuale mente: Augusto. Il comune denominatore: la tradizione e la qualità.
Un rispetto estremo per la terra, un lavoro biologico, una vigna a piede franco fra i 4 ettari di proprietà.
In cantina pochi interventi per racchiudere in vetro prodotti del tutto vergini da alterazioni e manipolazioni.
In un passaggio il Dr. Teobaldo Cappellano citava “ Non cercatemi dunque sui palcoscenici, aspettatevi invece di incrociarci in un posto inconsueto”.
Sarà vero, ma i nettari dei Cappellano e soprattutto i Barolo, vanno ricercati nell’agorà dell’Olimpo.
Il Barolo Piè Franco, di rara reperibilità ogni anno, nasce da un vitigno altrettanto unico. Dalla bocca sapida, deliziosa e lunga affina in botti grandi per 40 mesi.
Il Piè Rupestris  affina invece per più di 18 mesi in tonneaux, intenso al naso, complesso, tradizionale con sentori balsamici richiami autunnali che sanno di terra fiori e foglie secche calpestate.
Dal 1870 vini  che sognatori, viaggiatori , pensatori, collezionisti, tutti, ambiscono ad avere nella propria cantina.

Felix Angelastri

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