Flavio RODDOLO
Un’immagine che avevo già visto. O pensavo di aver già vissuto, letto. Un dejà vu. Forse in un episodio di Dylan Dog. Percorrevo questa stradina stretta, in salita...ai lati, sulla destra e sulla sinistra, alberi spogli a cui confidare segreti. Con ogni probabilità degli olmi con il loro caratteristico tronco fortemente rugoso; le mie conoscenze botaniche mi dicevano questo. La nebbia non lasciava scampo. Era da tagliare a fette, eppure erano solo le 9 del mattino. Mentre guidavo ricordavo le parole del signor Flavio Roddolo che avevo sentito venti giorni prima “Lo appunto sul calendario, ma non so se quando verrà a trovarmi sarò ancora sulla Terra. Speriamo bene”.
A 500 metri di altitudine c’è la sua tenuta. Lui era davanti la porta, non penso che stava aspettando me. Era assorto nei suoi pensieri e trasportava legna. Mi strinse la mano e mi fece strada. Pochissime parole...calibrate con lo stile di un uomo che è consapevole di custodire tesori che trascendono ‘il materiale’, narrava con passione quello che mi stava mostrando. Decise di partire dai sotterranei che custodivano barrique disposte in maniera perfetta; vecchie di vari passaggi. Con il gesso bianco sui fianchi aveva scritto il contenuto di ognuna di loro. L’aria, sotto, era molto pungente ed acida. Mi condusse nella parte vecchia della cantina che, a suo dire e perché così gli avevano raccontato, risaliva al 1700. Ci erano passati dei monaci, poi una famiglia che nel tempo si era ritrasferita in Lombardia. Rispondeva a tutte le mie domande con tono pacato, senza mai scomporsi…mai insofferente, parlava tra i denti quasi senza far muovere le labbra e anche il grande baffo grigio era tutto d’un pezzo.
Mi chiese di seguirlo, voleva mostrarmi le vigne. Fuori mi indicava con i movimenti delle braccia e a memoria le sue parcelle; guardava le posizioni cardinali senza mai fissarmi, in una sorta di danza dei sensi. Io ero coperto, il vento era gelido, stavo soffrendo… ma il signor Roddolo, che indossava un modesto maglione di pile, non dava nessun segno di fastidio.
Da quella posizione e da quella altitudine, con la nebbia ancora fitta, ecco la cartolina aprirsi davanti ai miei occhi: le vette bianche della Alpi che facevano capolino dal vasto campo candido e soffice della nebbia; le cime di alcuni maestosi alberi e le punte dei castelli langaroli. Tutto quello che c’era sotto, in quel momento, non era possibile scorgerlo. Fiabesco e “dylandoghiano”. Lo stesso senso della vista ne usciva sopravvalutato... vinto e appagato dalle percezioni del cuore.
Rientriamo in casa in una sala adibita a salone degustazione; ma anche luogo di vendite e di accoglienza. L’ambiente generosamente caldo. Mi chiese di attenderlo qualche istante.
Le volte a crociera fatte di mattoncini rossi, un tavolaccio in legno massiccio, una panca, una parete addobbata con diversi attestati, il camino accesso e scoppiettante, una scrivania. Tracce di una vita costruita sui valori di un tempo lontano.
All’improvviso eccolo di ritorno carico di bottiglie. Si siede mi porge i bicchieri vuoti e comincia a versare.
DOLCETTO D’ALBA SUPERIORE 2016: fieno bagnato, tabacco fresco, lampone e ribes. Al palato è diretto, si concede immediatamente, tannico, muscoloso, sentori di diversi semi di pepe. La potenza si protrae e resta per diverso tempo sulla lingua. Un vino facilissimo, molto goloso, simbolo della sua categoria. Dicono che il Dolcetto sia il vino rappresentativo di Roddolo. Lo è.
Intanto suona il telefono. Salto dalla sedia; il suono è amplificato, probabilmente nel caso lui fosse fuori o giù nei sotterranei. Sorrido e penso a Craven Road 7, l’abitazione di Dylan Dog e Groucho Max e il loro campanello di un suono rimbombante ed assordante. E poi questa somiglianza di Roddolo a Groucho….
BARBERA D’ALBA 2011: colore intensamente granato è un vino schietto e di ottima bevibilità. Al naso molto intenso, con la frutta rossa matura in evidenza, acidità del melograno, una nuance leggermente affumicata e poi scorza d’arancia. Il passaggio in legno ha donato un sentore di cacao amaro e l’intensità del caffè torrefatto. Davvero una sapida e ottima Barbera.
NEBBIOLO 2012: Un ottimo vintage che ha donato degli ottimi frutti. Sentori di muschio al naso, alcool ben domato. Alla bocca è austero, tannico, e oltre alla frutta ha sentori timidi di genziana, e paté di olive. Profumi di cuoio vissuto e tabacco essiccato si allargano nel palato. Restano lunghi ed incessanti. Un’ottima capacità di espressione. Davvero un ottimo nebbiolo.
BAROLO RAVERA 2015: In botte. Alcool in eccesso. E’ ancora giovane. Ma ha una struttura e un tannino che sapranno dare il meglio di loro fra diversi anni. Classica frutta rossa e piante officinali. In bocca è sempre presente questo eccesso di alcool. Da riprovare.
BRICCO APPIANI 2009: ricco, elegante, gentile e allo stesso tempo complesso. E’ Cabernet Sauvignon in purezza, atipico per le langhe. Ma lui è fiero ed orgoglioso. Meno di 3000 bottiglie all’anno, quando lo produce. Questo vino ha tutto, non è un vino per degustazioni o per serate in cui sfoggiano le migliori etichette mondiali. Ma è un vino schietto, pochi fronzoli, tanta sostanza. Lo ha fatto a sua immagine e somiglianza. Se ne avrete la possibilità, fatene incetta.
Parliamo dei nostri accordi commerciali, concludo la degustazione, il signor Roddolo mi accompagna, mi stringe la mano e mi dice “Se Dio vorrà, spero di rivederla presto, sa dove trovarmi”. Ho rivisto Flavio dopo 3 anni. E' cambiato, l'ho ritrovato più stanco.
Oh Santo Iddio, proteggi l’eremo di Monforte d’Alba. Abbiamo bisogno ancora di lui.